Il pane di framentu

Scriverò, qui lo dico e qui lo confermo, un lungo post sulla madre del lievito. Ma ora devi accontentarti di un meno lungo post sul pane di framentu  (da tradursi con pane di lievito madre).

Fino a dieci anni fa non avrei mai nemmeno pensato di fare pane. Nonna Piera tanto bene lavorava la pasta fresca, tanto ignorava i misteri della panificazione e lievitazione. Mi ha raccontato, di recente, che prima e dopo il matrimonio, e non so per quanto tempo, in famiglia si compravano, mensilmente, molti chili di semola, bustoni da giganti. Evidentemente anche allora a comprare tanto si risparmiava un poco.

Ebbene, tutta quella semola diventava pasta, perché la pasta, quella confezionata e nella quale non lo sai mai che grano ci va a finire, è arrivata molto più tardi.

– E il pane? Mai fatto in casa? – le ho chiesto. Eravamo in macchina. Io guidavo e lei segnava la strada, perché l’attitudine al comando, nonostante i novant’anni suonati (e oltre) non è andata perduta. Il pane lo facevano in casa solo nei paesi, mi dice lei. A Casteddu issa no teniat forru. Ma la pasta fresca era tutto un’altro paio di maniche visto che di figli da sfamare ce n’erano in abbondanza e di voglia e di fame in avanzo.

Mi fa ridere pensare che io oggi la pasta fresca la faccio per scelta e non per necessità. Poita ses maca, dice lei. Ma io so che la qualità ne guadagna abbondantemente. Ma questa è un’altra storia.

La nostra, quella di oggi, parla di pane.

I primi rudimenti me li hanno regalati il web ed i libri, senza grande successo, devo dirlo. I secondi rudimenti nonna Agnese, che non è mia nonna per davvero, ma potrebbe benissimo esserlo. Tutto il resto è venuto da sé con un’invenzione ed un tentativo (mio e di mia madre) al giorno.

Prima ho socializzato con il lievito: ora ho un rapporto, con quello che allora consideravo la più misteriosa delle creature, di complicità liquida. Lo guardo, lo odoro, lo tocco e so cosa vuole. Di norma semola, acqua o miele, ma delle volte qualche buona parola.

Oggi ti racconto la ricetta del pane di farina di grano tenero integrale con lievitazione ritardata (da farsi in frigo). Senti qui.

Ricorda: gli orari sono importanti ma non ferrei. Imparerai che all’arte del pane dovrai sommare quella della comprensione e dell’elasticità.

Cercherò di essere il più chiara possibile. Ho letto una marea di ricette e puntualmente mi assalivano 4239284238940 dubbi. Forse succederà anche a te, ma tu in quel caso potrai scrivermi. Ti risponderò.

Ingredienti per il pane di framentu integrale

225 gr di pasta madre

900 gr di acqua

1 kg di farina di grano tenero integrale

28 gr di sale marino

20 gr di olio

Ingredienti per il lievito

25 gr framentu (per cominciare)

200 gr farina di grano tenero integrale

170 gr di acqua

1 gr di miele

 

Pane integrale: primo giorno

18,00 – Rigenera su framentu (lievito / starter). Usa 25 gr di framentu, 100 gr di farina integrale, 70 gr di acqua a temperatura ambiente, 1 gr di miele biologico.

22,00 – Metti il lievito in frigo nella zona più calda. Fino ad ora si trovava all’aperto, coperto da un panno di lino.

Buona notte.

Pane integrale: secondo giorno

8,00 – Devi preparare sa madrighe, la madre del pane, rigenerando ancora il tuo lievito. Fallo con 25 gr del framentu risvegliato la notte precedente (il resto buttalo o conservalo, a giorni pubblicherò una ricetta sul come usarlo), 100 gr di farina integrale, 100 gr di acqua a 30°.

Impasta il tutto in una ciotola con un cucchiaio. Presto l’impasto umidiccio si staccherà dai bordi. A quel punto lascia riposare il tuo lievito all’esterno, coperto con un panno di lino e una coperta.

12,00 – Impasta 720 gr di acqua e 1000 gr di farina di grano tenero integrale.

12,30 – Aggiungi 225 gr di lievito madre (lascia a riposare in forno spento con la lampadina accesa. Copri l’impasto con un panno di lino)

13,00 – Aggiungi i 28 gr di sale, impasta e inizia a praticare le pieghe di rinforzo sull’impasto. Tira l’impasto in alto e piegalo su se stesso. fallo per almeno tre volte. Regalerai elasticità alla pasta e questa incorporerà aria. Segretuccio per non appiccicare le mani: bagnale con dell’acqua o dell’olio. E’ in questa fase che devi usare i 20 gr di olio a disposizione.

15,30 – Riversa il composto sul tavolo di lavoro, forma i panini ed effettua per tre volte le pieghe di rinforzo. Devi piegare gli estremi laterali prima e superiori poi verso l’interno. Aiutati con della semola se l’impasto è ancora troppo umido. A questo punto lascia riposare il pane nei cestini di lievitazione. Io uso alcuni scolapasta: li rivesto con panni in lino e con abbonante semola. La cucitura delle pieghe di rinforzo va in basso.

Pane integrale – 3 giorno

16,30 – 18,00 – Il terzo giorno resuscitò. Togli i cestini dal frigo solo dopo aver riscaldato a 250° il forno (ventilato). Riponi il pane nelle teglie, su carta forno ricoperta di semola. La parte che nel cestino era in basso, piena zeppa di semola, ora va in alto. Taglia il pane a tuo gusto e inforna.

Io metto in forno a 250° e dopo 20 minuti abbasso la temperatura a 200°, dopo altri 5/10 minuti abbasso ancora a 180°. Ovviamente la temperatura cambia in base al forno e i tempi variano in base alla dimensione del pane. I miei stanno in forno circa 35 minuti.

Stai davanti al forno e tieni d’occhio il tuo pane: è un consiglio superfluo. Non riuscirai a staccarti nemmeno per un attimo.

 

La magia del pane

Nella Sardegna tradizionale il pane era circondato da un magismo piuttosto forte. Non solo era figlio del lievito madre, di cui ti ho promesso di parlare a breve, ma era anche sinonimo di vita. In quanto promotore di questa, si riteneva potesse anche proteggere dalle disgrazie. Le donne che non potevano consentirsi altro genere di amuleti si mettevano una punta di pane fra i seni, per scongiurare il malocchio. Alcune signore mi confermano che il pane fosse un ingrediente importante nel confezionamento delle pungas (piccoli sacchetti in stoffa considerati potenti amuleti).

Il pane non veniva buttato: era praticamente impossibile andasse a male, ma anche se cadeva a terra, veniva soffiato e mangiato. Mai si riponeva sulla tavola con la parte lievitata in basso e si preferiva evitare di tagliarlo con il coltello, specie il giorno durante il quel era stato sfornato. Si intuisce che fra pane e donna panificatrice si creasse un certo legame visto che infilzare il pane con il coltello significava infilare la lama nella schiena di chi lo aveva confezionato (provocando grandi mal di schiena).

La preparazione del pane era protetta dal parole magiche, i brebus, pregadorias o orationes, e tutti gli strumenti che avevano a che fare con la panificazione avevano un non so che di protettivo. I panni di lino per la lievitazione venivano usati per far sfebbrare i bambini ad esempio, i neonati venivano posti sui cesti che le donne un tempo usavano per pulire o selezionare il grano, il forno era usato per la cura di alcune malattie (ne parlo anche qui).

Insomma, il pane era vita, i tempi del pane andavano rispettati esattamente come rispettata era la madre del pane: la madrighe. Ma di questa storia ti dirò la prossima volta.

 

Ti posso però consigliare la lettura del libro Pani, AAVV, ed. Ilisso. Ti posso inoltre suggerire di far visita a tua nonna: avrà molte storie da raccontarti a proposito del pane.

 

Se vuoi scoprire tutti i segreti del lievito madre partecipa ai miei laboratori: il prossimo si terrà il 27 Marzo alle ore 16,30 a Quartu Sant’Elena.

Per comprare ottima farina contatta il Molino Secci a Quartu Sant’Elena.

 

 

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