Parafrittus vs Fatti Fritti

Mia nonna Piera diversamente da molte sue coetanee lavorava. Era proprietaria di una piccola bottega che mi sarebbe piaciuto visitare, tant’è che ancora oggi a novant’anni suonati fa di conto come una calcolatrice e ha un senso degli affari piuttosto spiccato.

Ebbene mentre nonna lavorava, mamma trascorreva molti dei suoi pomeriggi a casa di Zia Lisetta. Fra le cose speciali che si trovavano nella casa di questa signora, che mamma chiamava zia ma che non era esattamente una zia, insomma fra le cose speciali c’era anche il marito, Signor Francesco. Chissà perché lui non è mai diventato Zio, eppure se lo sarebbe meritato. Signor Francesco era un omone grande e grosso, con un vocione cavernicolo a causa di un’operazione che aveva dovuto sostenere, dotato di mani grandi come pale. Oltre a somigliare ad un orco buono Signor Francesco era un pasticciere e molte delle competenze che ora sono mie, in un certo senso le devo a lui, perché mamma bambina guardava e imparava. Ho un ricordo vago di quell’omone, ma le sue ricette sono diventate di famiglia.

Guardando guardando mamma ha imparato anche ad impastare alla perfezione quelli che lei ha sempre chiamato Fatti Fritti, e non è cosa da tutti.

Se li chiami Fatti Fritti oggi ti guardano tutti scandalizzati, perché il nome in lingua Sarda è Para Frittus, ma nei miei ricordi di bambina quelle belle ciambellone con il buco, e cosparse di zucchero sono i Fatti Fritti.

 

La ricetta

1 kg di farina 00

100 gr di strutto

150 gr di zucchero bianco (per l’impasto)

4 uova

3 arance (la scorza e il succo)

1 limone (scorza e succo)

1/2 lt di latte

60 gr di lievito di birra

2 cucchiai di Fil’e Ferru

300 gr di zucchero bianco (per condire)

1 lt di olio di semi per friggere

 

Il procedimento

Il lievito di birra va sciolto nel latte e tutti gli ingredienti amalgamanti lentamente. Le dosi dei liquidi, te lo confesso, variano di anno in anno e non sono mai precise, ma è il sentimento e la mano di mia madre a regolare la necessità di succo e fil’e ferru.

Inizialmente l’impasto va lavorato all’interno di una civedda e solo poi va messo su una spianatoia e lavorato in maniera un poco insolita. L’impasto oramai compatto va pizzicato e sollevato dalla spianatoia più e più volte. Quando è ben staccato va fatto saltare (ho allegato il video, non saprei spiegare meglio, qualcuno di voi, commentando correrà in mio soccorso). Questa lavorazione rende l’impasto più elastico e compatto.

A questo punto non resta che tagliare la pasta a tocchetti e creare le ciambelle tonde e con il buco. Vanno fatte lievitare per almeno due ore in luogo tiepido (io dentro il letto), e quando la ciambella si è raddoppiata in dimensione si scalda l’olio di semi e si inizia a friggere.

Il parafrittu va passato sullo zucchero semolato e mangiato, meglio se caldo. Al primo boccone senti: zucchero, arancia, e fil’è ferru, poi è goduria generalizzata.

Il nome

Non è che ci siano certezze, pare però che il nome para frittus significhi letteralmente frati fritti. Ora qual’è il nesso fra Frati e Frittura? Un nesso squisitamente estetico, mi spiegava Giovanni Fancello, che ho avuto il grande onore di conoscere e alloriare di domande qualche giorno fa.

Il nome potrebbe essere da attribuire al buco al centro del parafrittus somigliante alla chierica dei frati, o alla riga che si forma all’esterno del dolce dopo la frittura, somigliante al cordone del saio dei frati. Quindi vuoi per la chierica, vuoi per il cordone del saio questi dolcetti somigliano ai frati e ne hanno probabilmente ereditato il nome.

Con il tempo parlare sardo è stato ritenuto poco elegante (ecco una super fesseria della quale hanno tentato di convincerci) e Para Frittus,  deve essere stato tradotto in Frati Fritti e poi mutato ancora in Fatti Fritti.

Curiosità

Non l’ho detto perché la ritengo un’informazione superflua, ma qualcuno potrebbe non saperlo: i parafrittus noti anche come frati fritti e fatti fritti li si prepara durante il periodo di carnevale. Solo Rebecca, protagonista de Rebecca e le Janas, chiede alla mamma la preparazione delle frittelle (in quel caso zeppole) fuori periodo. Doveva fare colpo su un cervo magico… e niente di meglio c’è che la frittura di Carnevale made in Sardinia. Chiamala scemotta.

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